della Dott. ssa Costanza Giunti
Perché parlare di piante?
Paradossalmente perché, in fondo, le conosciamo così poco. Verso il mondo vegetale sembriamo quasi avere una forma di rimozione che ha poco a che vedere con la scienza e molto con la psicologia. Forse perché non vogliamo riconoscere che dipendiamo totalmente da loro? Del resto il nostro atavico istinto predatorio ci connota più come “imprenditori” che dipendenti, quel che in effetti siamo. È scontato che se respiriamo lo dobbiamo al Regno vegetale e più che alle grandi foreste, alle piccole alghe dei mari, se produciamo energie è grazie a carbone e petrolio, se ci nutriamo è perché, anche quando mangiamo una bistecca l’animale si è nutrito di erba e, per stare in tema, se ci siamo curati nei millenni passati e per molti aspetti anche attualmente è grazie alle proprietà delle piante medicinali. Scienziati di tutti i tempi dallo studio di questo mondo così elusivo hanno però tratto grandi conoscenze che hanno illuminato il percorso della nostra civiltà. Hooke nel 1665 scoprì l’esistenza delle cellule dalle piante. Nel XIX secolo Mendel dai piselli trasse le leggi della genetica, più recentemente B. Mc Clintok usò il mais per arrivare a capire la trasposizione “genica”.
All’inizio dei tempi, 500 milioni di anni fa, ci fu un cambio di indirizzo che trasformò l’avvenire del nostro pianeta: il Paramecio scelse di muovesi e nutrirsi di materia, l’Euglena (alga azzurra) dette l’avvio alla stanzialità del mondo vegetale e iniziò a nutrirsi di… luce.
D’altra parte, stando ferme, le piante potevano divenire facili vittime di predatori, dunque hanno sviluppato grandi capacità di adattamento e la miglior difesa è stata per esempio non avere organi centralizzati come i nostri. Ci basta notare come viene brucato un prato e dopo pochi giorni tutto torna come prima, si capisce, per come siamo strutturati, come sarebbe letale essere “brucati”. Le profonde differenze fra i due Regni hanno creato la distanza, eppure grandi scienziati, da Aristotele ai contemporanei, hanno studiato questo mondo con l’occhio degli scopritori e degli amatori. La nostra tendenza ad umanizzare, ad esempio gli animali, ci ha tenuti lontani da tale realtà così elusiva e apparentemente poco dotata di capacità relazionali. Tuttavia i vegetali hanno molti più sensi dei nostri. Dopo Darwin che studiò e fu affascinato dalle capacità sensoriali delle piante carnivore, chi ha cercato di studiare in modo approfondito una sorta di sistema nervoso delle piante fu lo scienziato indiano Jagadis Chunder Bose, scopritore del bosone, lavorò con Einstein e che purtroppo è poco ricordato. Lui sviluppò con strumenti, (ad esempio il crescografo magnetico) e accurate misurazioni scientifiche molti processi legati alla crescita, al movimento e alla comunicazione conducendo varie stimolazioni sui tessuti vegetali. Oggi, grazie anche a scoperte e ricercatori come Stefano Mancuso, possiamo parlare di vera e propria intelligenza delle piante. Se per intelligenza s’intende la capacità di adattamento, di reazione agli stimoli, di prendere decisioni, di avere una sorta di memoria, seppur episodica, se si tratta di usare un sistema di recettori e trasmettitori, fra l’altro con molecole come ad esempio il glutammato presente nel nostro sistema nervoso e se esiste la capacità di entrare in relazione con gli altri Regni, allora dobbiamo accettare che esiste un’intelligenza delle piante. Quando ci relazioniamo con il mondo vegetale dobbiamo, più che pensare a delle strutture composte da organi, ad un vero e proprio network. Tornando ai sensi delle piante possiamo dire che le piante ci vedono se la vista, come da definizione, “è un senso che permette la percezione degli stimoli visivi”, chiaramente non hanno organi centralizzati come i nostri ma hanno fotorecettori diffusi, riescono a percepire anche la luce ultravioletta e gli infrarossi, sanno da dove proviene (fototropismo) e, oltre ad essere utilizzata per la fotosintesi, innesca processi legati al fotoperiodismo. Ad esempio il recettore per la luce blu, il criptocromo a noi serve per ripristinare il nostro orologio circadiano, nelle piante svolge il compito di coordinare i segnali provenienti dalla luce esterna con l’orologio interno.
A proposito delle capacità olfattive sicuramente le piante non hanno un naso, ma annusano. Emettono odori, e questo lo sanno quasi tutti, ma sono in grado di percepire i loro odori e quelli di altre piante vicine e non necessariamente della stessa specie. Gli odori costituiscono un vero e proprio vocabolario, innumerevoli composti chimici che portano un messaggio, per esempio l’etilene per dire di accelerare la maturazione dei frutti o altre molecole che fanno innalzare le difese contro parassiti e insetti. Questo linguaggio talvolta è talmente raffinato da essere utilizzato da una pianta per creare alleanze anche con specie animali, per esempio il Lima Bean, pianta peruviana, quando viene aggredita da acari “vegetariani” emette sostanze che attraverso l’aria ne attirano altri “carnivori” che si ciberanno con molto piacere del pasto per il quale sono stati attirati strategicamente dalle piante attaccate. Sorprendente!
Strettamente collegato all’olfatto è il senso del gusto e l’esempio più volte menzionato e studiato è quello relativo al comportamento della Cuscuta, pianta parassita che per vivere si attacca alle piante vicine e sottrae loro le sostanze vitali. Tuttavia, seppur “affamata” la Cuscuta percorrerà dei metri lanciando nello spazio le sue ramificazioni, purché nelle sue vicinanze ci sia il pomodoro che gusta in modo particolare, tralasciando le piante di grano più vicine e abbondanti. E le radici delle piante in genere continuamente saggiano e assaggiano il terreno circostante per selezionare le sostanze più nutrienti e propulsive per la crescita.
Altro esempio eclatante è certamente quello delle piante carnivore che sono in grado di catturare e digerire anche piccoli roditori attraverso complesse sostanze che trasformano in azoto di vitale importanza per queste piante che vivono in ambienti carenti di tale elemento, attuando processi molto simili a quelli della nostra digestione. Parlare delle piante carnivore ci fa osservare un’altra capacità sensoriale, superiore anche alla nostra e collegata al tatto. Attraverso particolari strutture simili a peli, per esempio la Dionea Muscipula (Venere acchiappamosche) riesce a percepire il peso e il volume di piccoli insetti, in particolare le mosche, dopodiché avverrà una vera e propria valutazione del tipo: è abbastanza il quantitativo di energia che ne trarrò dalla cattura e digestione in rapporto alla quantità di energia che dovrò impiegare per intrappolarlo e trasformarlo in nutrimento? Questa valutazione farà si che le foglie modificate in trappole si chiudano oppure no. Altro esempio visivamente immediato è quello dato dalla reazione delle foglie della Mimosa Pudica che si serrano immediatamente appena vengano toccate.
Per quanto riguarda l’udito la questione da un punto di vista scientifico sembra più difficile da dimostrare anche se nelle esperienze quotidiane parlare alle proprie piante ha dato sempre dei buoni risultati seppure empirici. Tuttavia anche per noi umani il suono viene percepito come vibrazione ed esperimenti recenti hanno dimostrato che in presenza di suoni particolari le piante possono cambiare la loro trasmissione genica. Un esperimento di cui si è molto parlato in ambito scientifico è stato quello attuato da un viticoltore, monitorato dall’INV (Laboratorio Internazionale di neurobiologia vegetale) che ha fatto sentire musica per 5 anni alle sue viti ottenendo una crescita migliore, maturazione anticipata e maggior quantità di polifenoli, in rapporto alle viti campione tenute senza musica. Inoltre con la musica c’è stata anche meno aggressione da parte di parassiti, prevedendo anche la possibilità, attraverso il sonoro, di poter usare meno antiparassitari. Oltre a sentire, sembra che le piante producano suoni, in particolare le radici emettendo una specie di “click” ma non si conosce ancora a cosa serva o se sia una sorta di comunicazione sonora fra le radici. Oltre a questi sensi le piante ne hanno almeno altri 15, hanno la capacità di sentire la gravità, misurare vari elementi chimici, percepire i campi elettromagnetici, misurare l’umidità e con le loro radici riescono ad individuare sostanze dannose dalle quali allontanarsi o utili verso le quali sviluppare un apparato radicale più ramificato.
Per noi erboristi, fitoterapeuti, quello che affascina e di cui saremo sempre grati alle piante è il fitocomplesso, questo pool di sostanze che in sinergia da millenni e ci auguriamo, conoscendolo sempre meglio in futuro, ci ha aiutato e ci aiuterà a curare e prevenire molte malattie. L’attività del fitocomplesso consiste in un dialogo fra molecole prodotte dalle piante che riescono a combinarsi, andare ad agire dove occorre, supportarsi e completarsi, attraverso processi metabolici complessi e ancora poco conosciuti e di cui spesso ignoriamo l’utilità che hanno rispetto alle piante stesse. Un ulteriore motivo di gratitudine per questa versatilità delle piante, in particolare quelle medicinali, è l’ubiquità dei principi attivi che si trovano a latitudini e altitudini diverse nel mondo con eguali caratteristiche chimiche, ad esempio gli antrachinoni della Cascara, pianta originaria della California e del Cile, e della Frangola che cresce nei nostri boschi o gli arbutosidi del Corbezzolo, tipica pianta della macchia mediterranea e dell’Uva ursina che troviamo in montagna. Certamente questa è una considerazione homocentrata tuttavia è un dato di fatto che ha permesso all’umanità di tutto il pianeta di curarsi. Fin dall’inizio dei miei studi ho sempre parlato di “intelligenza” delle piante certamente da un punto di vista finalistico, in particolare pensando alle attività delle adattogene. Parlare oggi di intelligenza delle piante può avere 2 aspetti, sia quello di voler riconoscere solo un tipo di intelligenza, cioè la nostra, umanizzandole, oppure quello di raggiungere attraverso un salto quantico un concetto di mente complessa e di interconnessione. Questo cambiamento potrebbe aprirci a un futuro sostenibile, anche con tutte le opportunità che ci dà la conoscenza del mondo vegetale, dalle nuove architetture alle celle solari all’utilizzo delle piante per neutralizzare sostanze tossiche, al velcro, etc. e a vivere meglio e con più consapevolezza il concetto di Gaia o Solaria, dove ci potremo sentire collegati e risonanti anche con le comunicazioni molecolari, elettriche e luminose delle piante.
Ti è piaciuto questo articolo e vuoi altri consigli?
Puoi contattare la Dott.ssa Costanza Giunti