del dott. Filippo Sanna   

Dopo i numerosi casi di epatotossicità correlati all’uso di integratori a base di curcuma registrati durante la scorsa primavera, proviamo a fare un breve report sulla pianta e le sue proprietà, a ricostruire i fatti accaduti e a capire se la droga in questione può rappresentare un’importante risorsa o un pericolo per l’uomo.

Approfondiremo l’argomento rianalizzando i dati attualmente in nostro possesso, comprese le note ministeriali e le ultime modifiche in termini di legislazione.

Descrizione botanica

Curcuma longa L. è una pianta erbacea perenne, originaria del sud dell’India e della Malesia, oggi coltivata in svariate zone dell’Asia tropicale. Può raggiungere il metro di altezza, è munita di grandi foglie allungate che si restringono verso la base. Produce vistosi fiori giallo pallido lunghi circa 5 cm, formati da tre petali chiusi alla base, raccolti in una vistosa pseudo infiorescenza.

È sicuramente una delle piante più studiate degli ultimi vent’anni a livello mondiale.

La droga è costituita dal rizoma scottato ed essiccato, di forma oblunga o cilindrica, più o meno ramificato, di colore bruno esternamente e giallo-arancio al suo interno.

Da sempre la Curcuma viene impiegata dalla medicina tradizionale ajurvedica e cinese, rinomato è inoltre il suo utilizzo come spezia nella cucina indiana e thailandese.

Composizione chimica ed attività

La curcumina è la principale responsabile dell’attività biologica all’interno del fitocomplesso. Non viene definita come una molecola singola ma definisce una miscela di molecole dello stesso genere dette curcuminoidi: sono derivati del dicinnamoilmetano presenti nel rizoma in percentuali quali 0,5-6% (curcumina, demetossicurcumina e bisdemetossicurcumina, molecole molto simili tra loro). È presente inoltre una frazione volatile (5-9%), polisaccaridi (69,5%), sali minerali (3,5 %), proteine (6,3%).

La farmacopea europea (Ph.Eur) ci dice che il titolo minimo in curcuminoidi totali calcolati come curcumina deve essere uguale almeno al 3%.

La farmacologia sperimentale ha confermato l’attività antinfiammatoria e radical scavenger della droga. Secondo la monografia EMA di riferimento, la curcuma è utilizzata come medicina tradizionale per aumentare il flusso biliare e per il sollievo dei sintomi dell’indigestione.

In sintesi le proprietà dimostrate scientificamente si esplicano principalmente:

– sulla funzionalità articolare (mostra azione antinfiammatoria di poco inferiore a quella del cortisone nell’infiammazione acuta, ma è efficace anche in quella di tipo cronica). La curcumina interviene nel metabolismo dell’acido arachidonico inibendo la produzione di leucotrieni e a dosi elevate anche delle prostaglandine (agendo sulla 5-lipossigenasi e sulla ciclossigenasi): questo meccanismo d’azione binario evita gli effetti collaterali tipici dei farmaci antinfiammatori (come ad esempio l’aspirina) infatti a dosi abitualmente impiegate la curcuma non produce irritazione gastrica, anzi mostra azione gastroprotettiva.

azione detossinante e antiossidante: curcuminoidi sono in grado di proteggere l’organismo da diverse tossine (come ad esempio tabacco e fumo di petrolio) mediante un’aumentata attività dell’enzima glutatione-s-transferasi… sono potenti antiossidanti in grado di inibire la per ossidazione lipidica e proteggere il DNA, contrastare l’opacizzazione del cristallino. Influenza l’attività di molteplici ENZIMI.

– i tre curcuminoidi principali sono risultati inoltre potenti inibitori della mutagenesi.

– effetti sul sangue: abbassano i livelli di colesterolo (aumentando il rapporto HDL/colesterolo) e di trigliceridi nel sangue. Sembra inoltre proteggere dall‘invecchiamento le cellule nervose. In particolare del SNC.

– stimolano la secrezione biliare, ed aumentano la produzione di muco gastrico protettivo.

Date le numerose azioni svolte dalla curcumina sui vari recettori infiammatori e dato il ruolo fondamentale che questi svolgono nello sviluppo e progressione del cancro, è chiaro come il mondo dell’oncologia si sia voluto rivolgere allo studio di questa molecola, indagandone le azioni sia a livello molecolare che a livello dei principali pathway oncologici.

È stato dimostrato che la curcumina, a concentrazioni nanomolari, è in grado di interrompere il segnale NF-κB-mediato in un punto antecedente la fosforilazione di IKBα.

Andando a inibire NF-κB si può dunque inibire indirettamente tutte le altre vie ad esso cross-linked, classici bersagli della target therapy.

Il principale problema della curcuma e dei curcuminoidi è quello della BIODISPONIBILITA’: è doveroso fare una distinzione tra gli studi clinici effettuati fino al 2010 e quelli in seguito. I primi, basati sull’utilizzo della sola curcumina, hanno evidenziato enormi problemi di biodisponibilità legati alla bassa solubilità e all’esteso metabolismo di fase I e sono risultati inconcludenti al di sotto di somministrazioni pari a 8g di curcumina. I successivi invece, che hanno impiegato il fitocomplesso nella sua interezza, sfruttando l’azione sinergica dei diversi curcuminoidi, e hanno messo a punto nuove formulazioni in grado di aumentarne la biodisponibilità, si sono rivelati molto incoraggianti.

Una breve parentesi meritano proprio le nuove formulazioni che, utilizzando tecnologie innovative come liposomi e fitosomi, hanno permesso di aumentare in maniera sostanziale la biodisponibilità del fitocomplesso.  

Questi prodotti consentono di raggiungere una biodisponibilità fino a 30 volte maggiore rispetto a quella della sola curcumina.

Il pepe nero aumenta l’assorbimento di curcumina, ma lo fa irritando la parete intestinale, aumentando lo spazio tra le giunzioni cellulari e facilitando quindi il passaggio della curcumina. La piperina interagisce col metabolismo epatico di I e II fase, riduce il metabolismo dei curcuminoidi, rallentandone l’eliminazione ed aumentandone quindi l’emivita. È una sostanza farmacologicamente attiva, interagisce con metabolismo di alcuni farmaci ed è irritante.

Alle dosi raccomandate, le ricerche tossicologiche hanno sempre dimostrato che la Curcuma non presenta alcuna tossicità.

 

Durante la scorsa primavera, a partire dal 13 maggio sono stati segnalati al sistema di farmaco-fitovigilanza una ventina di casi di epatite ritenuti correlati all’assunzione di integratori a base di curcuma. Da quel momento sono successe molte cose: un dossier ha tenuto occupati da subito i tecnici del ministero della salute e dell’istituto superiore di sanità. Per gli esperti di fitoterapia e imprese del settore si trattava di epatite colestatica, ritenuta verosimilmente correlata all’assunzione di integratori a base di curcuma longa L. e suoi estratti.

In tutto questo cosa ha destato scalpore? Sicuramente Il fatto che gli episodi si siano concentrati in un breve lasso di tempo, ma soprattutto sorprende che siano stati coinvolti prodotti con azioni differenti e con formulazioni molto diverse tra loro (anche una formulazione galenica proveniente da una farmacia).

Inoltre Il target dell’effetto tossico è stato il fegato, fatto in netta controtendenza rispetto alla sua tradizione d’uso e ad il claim salutistici del DM 10/08/2018 che lo vede definito addirittura come epatoprotettivo e di supporto alla fisiologia digestiva.

Frettolosamente la stampa ed i media hanno sollevato dubbi sulla sicurezza di questa antica pianta medicinale, sparando a zero sulla categoria degli integratori alimentari.

Come già accennato, le evidenze scientifiche dimostrano che la Curcuma ed i suoi fitoderivati restano sicuri, se assunti secondo schemi di trattamento razionali, ed a patto che tutti gli ingredienti usati nelle formulazioni corrispondano a tutti i requisiti di purezza e conformità ai regolamenti europei in materia (le aziende su richiesta devono essere sempre pronte a fornire la scheda di sicurezza delle materie prime utilizzate). Infatti si pensò subito a sofisticazioni della Curcuma, un fatto non difficile da riscontrare quando si parla di polveri o estratti secchi.

Il Ministero e gli addetti ai lavori si sono concentrati sulla ricerca di agenti estranei epatotossici, contaminanti o farmaci deliberatamente aggiunti per potenziarne l’effetto. Per esempio si è controllata la presenza illegale di FANS addizionati per gli effetti antinfiammatori o di anfetamine per quelli anoressizzanti (il web è infestato da annunci di integratori a base di curcuma spacciati illegalmente come dimagranti!). Fortunatamente la ricerca ha dato esito negativo: tutti i test hanno escluso la presenza di contaminazioni tra i campioni trattati.

Giunti a questo punto, la soluzione più probabile a questo mistero era già scritta in letteratura, in alcuni report che descrivono eventi epatici avversi dopo assunzione di curcuma (per esempio: RP Luber et al. 2019 Turmeric induced liver injury: a report of two cases Case Reports Hepatol Apr 28, 2019; Balaji S e Chempakam B Toxicity prediction of compounds form turmeric Food Chem Toxicol. 2010; 48(10):2951-9; Lukefahr AL et al. Drug-induced autoimmune hepatitis associated with turmeric dietary supplement use BMJ Case Rep. 2018).

Questi fenomeni avversi vengono attualmente classificati come reazioni idiosincrasiche. Si tratta di fattispecie statisticamente rare che potrebbero manifestarsi con maggiore probabilità in soggetti predisposti o con pregresse patologie d’organo (a volte non conosciute) o con la concomitante assunzione di certi farmaci. Senza disporre dei dati clinici di ogni paziente coinvolto non si possono esprimere valutazioni di merito, tuttavia, anche se tutti i casi segnalati fossero con certezza assoluta imputabili alla Curcuma, il numero rilevato in rapporto alle dosi consumate ogni giorno soltanto nel nostro Paese resta davvero esiguo e non modifica l’eccellente profilo di sicurezza della droga e del suo fitocomplesso.

Non è giusto, o perlomeno non è ancora il tempo di emanare delle condanne definitive: mancano studi tossicologici ed epidemiologici adeguatamente disegnati che aiutino a capire anche se, e in che termini, queste reazioni avverse possano essere influenzate da alte concentrazioni di curcumina o dall’aumento della sua biodisponibilità (per aggiunta di piperina o per modifiche di carattere tecnico-farmaceutico) o per semplice sovradosaggio.

 

Preventivamente il Ministero della Salute ha emanato il 26 Luglio scorso un decreto dirigenziale che modifica il DM 10-08-2018 aggiornando i criteri di etichettatura degli integratori contenenti estratti di curcuma. Il provvedimento prevede che: vengano eliminati i claim relativi agli effetti su funzionalità del sistema digerente, digestione, funzione epatica.  Viene aggiunto inoltre l’obbligo di riportare in etichetta l’avvertenza in caso di alterazioni della funzione epatica, biliare o di calcolosi delle vie biliari, l’uso del prodotto è sconsigliato. Se si stanno assumendo farmaci è opportuno sentire il parere del medico(obbligo non esteso alla Curcuma in polvere venduta come spezia).

Gli integratori alimentari contenenti estratti e preparati a base di piante del genere Curcuma conformi alle prescrizioni del DM 10.08.2018 e succ. mod. devono essere adeguati alle disposizioni di cui sopra entro il 31.12.2019, inclusi i lotti già immessi sul mercato. Inoltre i lotti ritirati possono essere riammessi in commercio col semplice adeguamento dell’etichetta. Il Ministero ha colto l’occasione per ribadire un concetto importante: nell’ambito della lista positiva delle piante e loro parti consentite nella formulazione degli integratori alimentari vanno utilizzati estratti e derivati ottenuti con un metodo di produzione tradizionale e che abbiano fatto registrare una storia di consumo significativo nel territorio dell’Unione Europea prima del 15 Maggio 1997; diversamente ricadrebbero nella definizione di Novel Food e dovrebbero essere autorizzati aprendo l’iter previsto.

Possiamo infatti affermare con certezza che non sono ammesse le curcumine di sintesi, né negli integratori né in altri tipi di alimenti. Le curcumine di sintesi, infatti, non hanno registrato consumo significativo prima del Maggio ’97 e vanno considerate Novel Food al momento non autorizzato.

Acquistando gli estratti di Curcuma per le preparazioni diventa imprescindibile una scrupolosa valutazione preventiva della documentazione a supporto; la scheda tecnica e il certificato d’analisi dovrebbero sempre attestare:

1) l’origine 100 % naturale del prodotto (con i risultati del test del 14C e/o l’analisi quali-quantitativa HPLC da cui si possa desumere il contenuto e il rapporto percentuale reciproco dei tre curcuminoidi: curcumina, demetossi curcumina e bis-demetossi curcumina).

2) l’assenza di sofisticazioni (tra cui: aggiunta di steatite o altri minerali come i sali di piombo o di coloranti azoici tipo giallo metanile, sudan e acid orange 7).

3) la piena conformità alle norme europee sugli ingredienti food grade con una particolare attenzione ai seguenti contaminanti critici: solventi residui, tossine epatotossiche, residui di pesticidi e fitosanitari, metalli pesanti  (soprattutto  piombo), Idrocarburi Policiclici Aromatici.

Per concludere sembrerebbe opportuno dare alle persone un suggerimento, che sembra banale ma in questo campo non bisogna mai scordare: diffidiamo dei prezzi troppo bassi, considerando che un buon estratto di curcuma naturale al 95% di curcuminoidi certificato in tagli piccoli (da 1 a 10 Kg) dovrebbe avere un prezzo di mercato oscillante attualmente tra 120 e 140 €/Kg.

La Curcuma ed i suoi fitoderivati sono prodotti sicuri, ma “Sicuro” in questo campo non è mai uguale a “rischio zero”. Il fitocomplesso è capace di interazioni farmacodinamiche con una serie di target biologici: è sbagliata la convinzione che il naturale equivalga automaticamente a privo di rischi.

 

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