del dr. Marco Cotugno –
La deep ecology è un movimento filosofico-sociale complesso e articolato che trova il suo inizio nel 1973, con l’opera del filosofo norvegese Arne Naess, che conia questo termine per prendere le distanze da quella che lui chiama «shallow ecology» cioè ecologia superficiale.
Naess vuole infatti spostare così l’attenzione dai sintomi alle cause della crisi ecologica, che secondo lui ha a che vedere con l’impianto concettuale della cultura occidentale, in quanto, ad essere inquinata, è la filosofia che fa da sfondo alle politiche ambientali. Per superarla occorre un rinnovamento radicale delle strutture di base, una differente cornice concettuale, che porti all’elaborazione di una forma di ecosaggezza, intesa dal filosofo come un insieme di principi capaci di orientare il pensare, il sentire, l’agire umano in una direzione ecologicamente compatibile1, una visione della vita che indichi le priorità di valore e sia capace di ridefinire in senso ecologico il nostro rapporto con il mondo naturale, in un approccio che non sia intellettualistico, ma bensì pratico, che sia volto a modificare le priorità dei nostri valori in un’ottica di cambiamento verso una nuova realtà socioeconomica e che si configuri da ultimo in una weltanschauung alternativa a quella dominante.
Tale prospettiva nella nostra cultura occidentale ha sempre fatto parte di tradizioni minoritarie di saggezza, frammenti dei quali si ritrovano nelle filosofie presocratiche, in Aristotele, in Spinoza, in Bergson, nell’ultimo Heidegger, in Whitehead, in Marcuse e, rivolgendosi alla letteratura e alla poesia, in quella romantica, che guardava alla natura con senso di ammirazione (basti pensare, ad esempio, al senso del sublime in Burke). Ulteriori antecedenti possono essere rintracciati in autori e pensatori americani come Thoreau, Muir, Jeffers e Leopold, senza però dimenticare il ruolo fondamentale avuto da Emerson nell’avviare con il suo saggio Nature del 1836 una nuova forma di filosofia della natura, basata su un rapporto intenso e pensoso col mondo circostante2. Ad ogni modo per Naess e per i teorici della deep ecology qualunque siano le fonti culturali di cui ci si avvale, importante è l’uso critico che ne viene fatto per arrivare ad una riformulazione in chiave ecologica del concetto di sé, partendo da una riconcettualizzazione della natura e delle relazioni fra l’essere umano e il mondo3. Egli sostiene infatti che, al di là delle diverse filosofie in cui trova espressione, la deep ecology in tutte le sue versioni mantiene come caratteristica formale invariante quella di sollevare questioni sempre più profonde rispetto alla relazione fra mondo umano e natura4.
L’ecosofia, nella visione di Naess, non costituisce un’ortodossia, bensì una teoria aperta, in quanto non è volta alla persuasione ma è un terreno di discussione per l’arricchimento reciproco. Lo scopo del pensare è arrivare ad elaborare una filosofia pratica, per fornire un orientamento ecologico all’esistenza umana, dunque in definitiva per costruire una antropologia ecologica5. Ciò implica anche che al centro della politica economica bisogna porre la qualità della vita e non il PIL, con un’attenzione particolare anche ai meno agiati.
Il pensiero ecosofico, analogamente a quanto avviene nella riflessione di Latouche sulla decrescita felice, “tende a promuovere un ideale economico di semplicità di mezzi e ricchezza di fini”6.
L’interrogare profondo della deep ecology si riflette nella dimensione metodologica confrontandosi con le questioni fondamentali dell’uomo in relazione alla sua origine, alla sua direzione e al suo rapporto con il mondo. Nello specifico, risulta imprescindibile porre il problema relativo alla comprensione delle dinamiche atte a favorire la piena realizzazione dell’umanità in ogni individuo, poiché il significato che diamo al vivere impatta sul nostro modo di abitare la terra e quindi è importante sviluppare una visione della vita e soprattutto del concetto di ‘sé’ sulla base di una nuova comprensione ecologica dell’esistenza7.
L’ecosofia costituisce una struttura concettuale rigorosa, mediante la quale vengono connessi i punti nodali dell’autorealizzazione, dell’identificazione e della non-violenza. La prospettiva dell’ecosofia è all’insegna dell’interrelazione di tutto il creato, di tutte le forme di vita e di tutta la natura.
In una logica normativa, l’ecosofia parla di ‘diritto’: alla vita, alla piena realizzazione delle proprie potenzialità per tutti i viventi. Vige l’uguaglianza e dunque pari diritti per tutti gli esseri a godere pienamente della possibilità di vivere e di svilupparsi8.
Riguardo al concetto di identificazione, Naess considera come ciascun individuo preso singolarmente abbia un potere e un ruolo limitato rispetto all’intero, ma pur sempre sufficiente per realizzare il proprio potenziale attraverso il riconoscimento con unità più vaste, fino alla percezione profonda di sé come parte della totalità della vita:
“La prospettiva ecosofica si sviluppa attraverso processi di identificazione così profondi che i confini del proprio sé non sono più indicati in modo adeguato dall’io personale o dall’organismo”9.
In questa concezione ogni vivente non è mai solo un mezzo ma sempre anche un fine, in un’ottica allargata dell’imperativo categorico di kantiana memoria. Di converso ne consegue che l’incapacità di identificarsi conduce all’indifferenza, ciò che apparentemente è lontano e non ci riguarda viene relegato su uno sfondo indistinto e senza valore alcuno. Ma poiché noi conosciamo sempre solo una piccola parte delle conseguenze delle nostre azioni dovremmo muoverci con molta più attenzione (e consapevolezza) nei confronti delle altre forme della natura con cui entriamo in relazione necessaria. La non violenza si situa in questa visione come norma di riferimento per portare avanti qualsiasi iniziativa di lotta collettiva per risanare le politiche ambientali e incidere a livello educativo sulla società.
Naess prende in esame e interpreta le regole della nonviolenza elaborate da Gandhi in maniera sistematica, suddividendole in norme di primo, secondo e terzo livello, in una visione strategica che comprende i tre momenti dell’azione nonviolenta diretta nel breve periodo, di quella programmata per raggiungere obiettivi nel medio periodo, dei movimenti che in una tensione ideale devono continuare ad essere attivi nel lungo periodo, prospettiva che richiama quella che A. Capitini chiamava ‘rivoluzione nonviolenta permanente’10.
Con l’obiettivo di sistematizzare i concetti principali del movimento dell’ecologia profonda e di definirne un’identità concettuale, nell’aprile del 1984 Naess, assieme a Simmons, elaborò otto enunciati noti come «piattaforma» di idee guida:
1. Il fiorire della vita umana e non umana ha un valore intrinseco. Il valore delle forme di vita non umana è indipendente dall’utilità che queste possono avere per gli scopi umani.
2. La ricchezza e la diversità delle forme di vita sulla Terra, che comprende le culture umane, ha valore intrinseco.
3. Gli esseri umani non hanno il diritto di ridurre questa ricchezza e questa diversità, se non per soddisfare bisogni vitali.
4. Il fiorire della vita umana e delle diverse culture è compatibile con una sostanziale diminuzione della popolazione umana.
5. L’attuale interferenza umana nel mondo non umano è eccessiva, e la situazione sta peggiorando.
6. I punti precedenti indicano che sono necessari dei cambiamenti nel modo prevalente in cui fino ad ora gli uomini si sono comportati nei confronti della Terra nel suo insieme. Le trasformazioni dovranno riguardare principalmente le strutture politiche, sociali, tecnologiche, economiche ed ideologiche.
7. Il cambiamento ideologico nei paesi ricchi dovrà consistere soprattutto nell’accresciuta capacità di apprezzare la qualità della vita piuttosto che un alto tenore materiale di vita, creando in questo modo i presupposti per una condizione mondiale di sviluppo ecologicamente sostenibile.
8. Coloro che sottoscrivono i punti precedenti si impegnano, direttamente o indirettamente, a cercare di realizzare le trasformazioni necessarie attraverso mezzi nonviolenti11
Aderendo alla piattaforma comune ci si assume il duplice impegno di formulare individualmente una giustificazione filosofica o filosofico-religiosa di tali otto punti, a partire dalla quale elaborare una personale “ecosofia” e tradurre gli stessi enunciati in azioni individuali e collettive ecologicamente responsabili. In definitiva, possiamo dire che “formulare un’ecosofia in accordo coi punti della piattaforma, agire in accordo con la propria ecosofia è dunque ciò che fa di una persona un sostenitore dell’ecologia profonda”12.
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Dottore in Filosofia ed Educatore Professionale
Esperto in Shinrin-Yoku, Friluftsliv & Outdoor Education
E-mail: marco.cotugno81@gmail.com
Cell. 3298069539
Bibliografia:
1. L. Mortari, Ecologicamente pensando. Cultura ambientale e processi formativi, Milano Unicopli 1998, pp. 23-25.
2. Per una rassegna storica delle principali idee ecologiche cfr. Borgna I., Profondo verde. Un’etica per l’ambiente tra decrescita e deep ecology, Milano, Mimesis, 2010.
3. L. Mortari, Ecologicamente pensando, op. cit., p. 49.
4. Ibidem.
5. L. Mortari, Ecologicamente pensando, op. cit. p. 50.
6. A. Naess, Ecosofia. Ecologia, società e stili di vita, Como, Red, 1994, p. 37.
7. L. Mortari, Ecologicamente pensando, op. cit. p. 51.
8. A. Naess, Ecosofia, op. cit., pp. 207-213.
9. A. Naess, Ecosofia, op. cit. pp. 221-222.
10. Cfr. A. Capitini, Il potere di tutti, Perugia, Guerra Edizioni, 1999, p. 112.
11. Gli otto principi vengono riportati qui nella loro formulazione più recente e nella traduzione di Paolo Vicentini. Cfr. l’articolo di Vicentini, P., Unità e pluralismo del movimento dell’ecologia profonda, 2006, in http://www.filosofiatv.org/?topic=ecofilosofia#102, ultima consultazione 11/10/2020
12. Borgna I., Profondo verde, op. cit., p.121