del Dr. Marco Cotugno –
‘Econarrazione’ potrebbe sembrare una parola abbastanza inusuale eppure in queste e nelle seguenti righe cercheremo di dar conto di quanto e come essa sia in realtà una pratica molto attuale, che pone al centro l’ecologia (il prefisso ‘eco’) come narrazione del pianeta di cui siamo parte, inteso come “casa”, oikos.
In Italia, è il pedagogista e filosofo Duccio Demetrio a coniare questo termine1 e a sottolineare per primo come in questa nuova frontiera ecologica sia cruciale la comprensione della “lingua della terra”2. La terra infatti è percorsa da segni, siano essi canyon, valli, laghi, golfi che possono essere interpretati come altrettante grafie di qualcosa che rimanda sì alla natura, ma al contempo anche a noi.
La descrizione del paesaggio infatti viene sempre interpretata dalla nostra mente in maniera narrativa: “I fiumi, l’esistenza umana, il divenire, il transito dall’una all’altra sponda della vita. I boschi, l’impenetrabilità della luce, i limiti della ragione e della conoscenza. (…) Le montagne, simbolo esemplare dell’ascesi, della sfida, punto di incontro fra cielo e terra”3. Siamo noi a dare un senso alla lingua della terra, a fare da mediatori tra ciò che la terra produce e la narrazione delle sue storie, grazie alla scienza, alle leggende, al mito, alla scrittura e alla poesia, tutti paradigmi di pensiero propri della cultura umana.
Come nella visione rinascimentale propria di Pico della Mirandola, la dignità dell’uomo sembra ancor oggi essere quella di – attraverso il pensiero narrativo – potersi fare natura, cogliendone i nessi, i rapporti armonici e dissonanti, grazie alla plasticità che è propria della condizione umana4, la cui anima copula mundi5, collegata da sottili fili alle menti, agli animati e alla natura, facendosi intermediaria di tutte le cose, possiede le facoltà di tutte le cose e tutte le unifica in sé.
In questo narrare, si può creare un patto/conflitto fra noi e la terra, frutto di un legame profondo e intenso che durante tutte le epoche ci ha consentito di creare i nostri linguaggi a partire dall’imitazione dei linguaggi della natura, ivi compresi i silenzi, poiché “abbiamo imparato a parlare, a scrivere, a dipingere, a musicare grazie a lei [la terra]: incidendo una pietra, tenendo in mano ciuffi d’erba, scoprendo il mormorio del mare in una conchiglia”6. A questo riguardo, lo stesso R. W. Emerson nel suo saggio “Nature” del 1836 già sottolineava come il nostro linguaggio fosse intriso di una fisicità di ispirazione naturale, tanto che “l’origine di ogni parola usata per esprimere un fatto morale o intellettuale si trova in qualche fenomeno materiale. Giusto significa diritto; sbagliato significa contorto. In origine spirito significava vento; trasgressione si riferiva all’attraversamento di una linea; accigliato deriva dall’alzarsi delle sopracciglia”7.
Ecco che la terra ci ha ispirato il linguaggio e attraverso le sue storie ha sempre svolto e ancora oggi può svolgere un ruolo pedagogico, nell’educazione e nella formazione delle coscienze8, perché in fondo, raccontando la natura, non ci limitiamo mai al solo descriverla, ma le attribuiamo un valore di cui anche l’altro potrà poi fruire, dunque “siamo ecologisti narrativi quando ci battiamo affinché quelle narrazioni non muoiano, affinché le storie della terra possano sopravvivere contro tutte le desertificazioni cui stiamo assistendo”9.
Ma quali sono le possibilità dell’econarrazione? Essa rappresenta una modalità attraverso la quale riconciliare saperi scientifici e saperi umanistici, per raccogliere storie, racconti, narrazioni, resoconti di luoghi, persone, fenomeni naturali che attivino una nuova consapevolezza nell’essere umano nei confronti della propria casa/oikos. In definitiva possiamo dire che l’econarrazione, pur condividendo gli scopi dell’ecologia intesa come scienza, si propone come una branca della stessa maggiormente legata all’operatività e più aperta a un impiego multiforme del concetto di logos in chiave narratologica10.
Nell’econarrazione ogni forma narrativa si presta a rappresentare il pianeta in tutte le sue manifestazioni vitali. E, attraverso la versatilità del pensiero narrativo, l’econarrazione si apre ad accogliere e a dare significato alla molteplicità di espressioni proprie della creatività della vita11, non da ultimo a quelle proprie del racconto autobiografico poiché, come sostiene sempre Demetrio nel saggio Green Autobiography “scrivere di se stessi, del resto, non è mai mettere tra parentesi la vita, tanto degli altri quanto di tutto ciò che ci circonda”12. L’autobiografia, pur potendo sembrare a un primo sguardo una scrittura privata, in realtà ci consente di decentrarci da noi. Tale decentramento ci apre alla natura, al diverso, al lontano, all’inspiegabile, alla consapevolezza di appartenere a moltitudini non soltanto umane, fin da quando siamo entrati in questo mondo. Insomma, come ebbe a dire il poeta americano Walt Whitman “chiara e dolce è l’anima mia, e chiaro e dolce è tutto ciò che non è l’anima mia. Se manca una mancano entrambi”13.
Il rapporto con la natura è quindi inevitabile fin dalla nascita e si radica in noi dalla prima infanzia, momento in cui abbiamo imparato ad associare alle diverse immagini dell’ambiente naturale i nomi che chi si occupava di noi ci insegnava indicandoci le cose, rendendo così questa relazione inscindibile dalla nostra personale biografia, la nostra storia green, iniziata “sui balconi, alle finestre, ai giardini, nel corso di una gita in campagna o al mare” quando per la prima volta “abbiamo chiesto il nome di forme viventi, di oggetti, di colori”14.
Redigere la propria “Green Autobiography”, vuol dire giocare a tirar fuori il verde nel nostro raccontarci cioè a prendere in considerazione il dipanarsi delle storie della propria vita in relazione alla natura e al pianeta di cui siamo parte, cosa questa che può costituire il punto di partenza per una riflessione più profonda sull’esistenza, nelle tre dimensioni dell’essere interiore, esteriore e transpersonale, intese come:
●La terra interiore, il mondo interiore, l’intimità, spesso di difficile espressione, cui la natura può venire incontro, facilitandone l’emersione, attraverso i suoi simboli e i suoi stimoli evocativi.
●L’etica eco-centrica, che in un’ottica di ecologia profonda ridimensiona il ruolo dell’uomo e mette al centro il pianeta e il cosmo.
●Il rapporto con il sacro, che riecheggia al concetto del sublime, così come espresso dal filosofo preromantico Edmund Burke15
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Dottore in Filosofia ed Educatore Professionale
Esperto in Shinrin-Yoku, Friluftsliv & Outdoor Education
E-mail: marco.cotugno81@gmail.com
Cell. 3298069539
Bibliografia:
[1] Cfr. primo convegno di ecologia narrativa, Anghiari 18 maggio 2013.
[2] D. Demetrio, La religiosità della terra. Una fede civile per la cura del mondo, Milano, Raffaello Cortina, 2013, p. 197.
[3] Ivi, p. 198.
[4] Cfr. Pico della Mirandola, Della dignità dell’uomo, Genova, Il Basilisco, 1985.
[5] Marsilio Ficino, Theologia platonica III, 2:230-242, traduz. it. In Grande Antologia Filosofica, Milano, Marzorati 1964, vol. VI, pp. 584, 592-593.
[6] D. Demetrio, La religiosità della terra, op. cit., p. 203.
[7] R. W. Emerson, Natura (1836), in A. Re (a cura di), Americana Verde. Letteratura e ambiente negli Stati Uniti, Milano, Edizioni Ambiente, 2009, p. 45.
[8] D. Demetrio, La religiosità della terra, p. 209.
[9] Ivi, p. 201.
[10] Ivi, p. 207.
[11] Ivi, p. 208.
[12] D. Demetrio, Green Autobiography. La natura è un racconto interiore, Anghiari, Booksalad, 2015, p. 20.
[13] Cfr. W. Whitman, Foglie d’erba, Milano, Newton, 2007, da il canto di me stesso, p.137.
[14]D. Demetrio, Green Autobiography, op. cit. p. 68.
[15] Cfr. E. Burke, Inchiesta sul bello e il sublime, Palermo, Aestethica, 2019