del Dr. Marco Cotugno –
Già dal XVIII secolo numerosi pedagogisti avevano affrontato i temi della pedagogia in termini di visione del mondo unitaria, sistemica, olistica ed ecologica. Fu però il pedagogista brasiliano Paulo Freire a coniare per primo la parola “ecopedagogia” nel 1992. Il termine appare composto da tre parole di origine greca: oikos (casa, luogo di abitazione, spazio fisico e simbolico in cui si esplica la vita e quindi, per estensione, ambiente), paidos (bambino) e ago (guidare, condurre, accompagnare). La parola dunque si riferisce ad una maniera di accompagnare, crescere ed educare, in maniera consapevole del campo totale e relazionale di cui l’umanità fa parte.
Partendo dall’analisi degli ultimi scritti di Freire, che identificavano nell’ecologia la principale sfida del nostro tempo, il pensiero ecopedagogico venne poi sviluppato da due tra i suoi più stretti collaboratori – Francisco Gutiérrez e Moacir Gadotti – i quali elaborarono alcuni principi basilari per ispirare un’azione pedagogica a livello mondiale, nei differenti contesti sociali e culturali. Tali principi muovono dalla doppia consapevolezza che ogni essere appare legato agli altri da relazioni intrinseche che ne determinano la sua costituzione fondamentale e che, all’interno di questa trama di relazioni, esiste un diritto uguale per tutti di vivere e realizzare i propri fini, mentre le ricadute pratiche vengono esplicitate da un discorso pedagogico che pone al centro il rispetto per l’ambiente e la cura dei territori, la salvaguardia della biodiversità in tutte le sue forme, la costituzione di reti sociali, culturali ed economiche all’insegna di informalità e solidarietà, la promozione di un modello di «razionalità emotiva» in alternativa alla razionalità occidentale, lo sviluppo di un modello di sostenibilità e di pratiche educative attive e innovative1.
In questo senso, l’ecopedagogia si inserisce necessariamente in una visione del reale in cui il concetto di cittadinanza non può che essere “planetario”, fondato cioè sul dialogo e sulla relazione fra tutti gli esseri che abitano il mondo2. Un cambiamento di prospettiva in cui l’uomo si riconosce parte della globalità ed è quindi chiamato a rivedere i propri valori e le proprie azioni in una nuova logica di apertura, interazione solidale e soggettività collettiva.
Per contrastare la tendenza tecnocratica implicita nella società odierna, la pedagogia della cittadinanza ambientale dell’era planetaria dovrà dotarsi di una densità valoriale assai maggiore rispetto a quella dell’educazione tradizionale, basata sulla competizione, l’accumulazione e la produzione illimitata di beni e ricchezze, incurante dei limiti della natura e delle necessità degli altri esseri non umani. Passare al paradigma planetario del sentire e del vivere vuol dire infatti sentirsi parte della Terra, intesa come un essere vivo e intelligente, idea che ritroviamo declinata in chiave scientifica anche in autori come James Lovelock che, nella sua “Ipotesi Gaia”, propone la biosfera come “un’entità autoregolata che stabilisce le condizioni materiali per la propria sopravvivenza e [la cui] materia vivente non rimane passiva di fronte a ciò che minaccia la sua esistenza”3. La ricerca su Gaia porterà poi Lovelock a formulare l’ipotesi secondo la quale l’insieme dei viventi sul nostro pianeta (“dalle balene ai virus e dalle querce alle alghe”4) costituisce di per sé un’unica entità, dotata di capacità di autoregolazione e di facoltà ben più sviluppate dei singoli che la abitano e caratterizzano.
Con la sua ipotesi Lovelock ha affrontato dalla prospettiva delle scienze esatte il tema dell’ecologia e del rapporto con la Terra, offrendo un’alternativa sia alla visione antropocentrica, che guarda al pianeta come utile risorsa da conquistare, sfruttare e consumare, sia ad una concezione del mondo come realtà casuale e priva di senso. Secondo lo scienziato britannico “l’evoluzione di Gaia sembra dipendere dalle attività dei singoli organismi. Se queste sono favorevoli al sistema, gli organismi prosperano; altrimenti sono condannati, ma la vita prosegue”5.
Dunque, se la Terra è un organismo vivente, “questo sistema di vita integrato, dinamico e intelligente richiede da parte nostra una comprensione ugualmente viva, dinamica e planetaria”6. Per far ciò abbiamo bisogno di ritrovare le radici con le quali siamo ancorati al nostro pianeta, questa biglia blu su cui navighiamo in mezzo al cosmo infinito. Sarà necessario re-imparare a decifrare il suo segreto linguaggio, fatto di alfabeti sonori e colorati profumi, sperimentandolo con tutti i nostri sensi, tornare a con-vivere con Gaia, cercando di armonizzarci ai suoi ritmi, sviluppando una piena coscienza del fatto che “assumere la cittadinanza terrestre, è assumere la nostra comunità di destino”7 e quindi è obiettivo primario cui educare ogni essere umano.
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Dottore in Filosofia ed Educatore Professionale
Esperto in Shinrin-Yoku, Friluftsliv & Outdoor Education
E-mail: marco.cotugno81@gmail.com
Cell. 3298069539
Bibliografia:
[1] A. Tagliavia, L’eredità di Paulo Freire. Vita, pensiero, attualità pedagogica dell’educatore del mondo, Bologna, EMI, 2011, p. 169.[2] F. Gutiérrez, R. Cruz Prado, Ecopedagogia e cittadinanza planetaria, Bologna, EMI, 2000, p. 31.
[3] J. Lovelock, Gaia. Nuove idee sull’ecologia, Torino, Bollati Boringhieri 1996, p. 10.
[4] Ivi, p. 22.
[5] P. Bunyard, E. Goldsmith, (a cura di), L’ipotesi Gaia. La Terra come organismo vivente: provocazione, teoria scientifica, nuovo paradigma? Como, RED, 1992, p. 75.
[6] F. Gutiérrez, R. Cruz Prado, Ecopedagogia e cittadinanza planetaria, op. cit., p. 140.
[7] E. Morin, Terra-Patria, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1994, p. 191.