della dr.ssa Mariuccia Sofia, medico esperto di stile di vita –

Appellarsi alla parte migliore del paziente per aiutarlo a guarire, questo è il sottotitolo della riflessione che propongo oggi.

L’occasione me l’ha offerta l’incontro con una paziente che seguo ormai dallo scorso inverno.

Me la sono trovata davanti e quasi non la riconoscevo, eppure non ha mai mancato un controllo mensile. Aveva fatto il salto, così definisco quello stato in cui il paziente accede ad un altro livello di “presenza”, sia fisica che psichica. In questi sette mesi ha perso 20 chili con un girovita che si è ridotto di 14 cm. Lo ha fatto affidandosi. Sicuramente si è fidata della mia guida inizialmente, ma nella mia modalità di cura, così come affido la cartella al paziente non trattenendo nulla in studio, alla stessa maniera, dopo i primi incontri di orientamento, restituisco al paziente la responsabilità del suo corpo e della sua salute, perché per il resto dell’ora che passa con me in un mese di 720 ore, le altre 719 le trascorre con sé stesso e deve fare i conti con la sua capacità di essere autonomo.

Noi medici siamo come un tutore iniziale, creatori di quel campo nel quale il paziente comincia a muoversi in sicurezza, aumentando la fiducia nelle sue possibilità di scelta.

Per questo, sin dalla prima visita, mi appello sempre alla parte migliore della persona che ho davanti, alle sue potenzialità, ai suoi desideri, ai suoi sogni, al suo Futuro, perché, e questo l’ho imparato anche sulla mia pelle, LA GUARIGIONE VIENE DAL FUTURO. Non è rimestando su ciò che è stato l’errore, ma recuperando la visione della “migliore prognosi possibile” che creiamo la traccia di un futuro di guarigione nello spazio di cura.

Che il medico non guarisca nulla ma che sia un accompagnatore mi è stato chiaro dall’inizio, che abbia la responsabilità di attivare nel paziente tutte le risorse utili, anche.

Perciò quando ho visto la paziente mi sono resa conto che lei incarnava perfettamente questo modo di concepire l’aiuto del curante. Abbiamo lavorato sulla sua motivazione a migliorare il proprio stato, sui cambiamenti nel suo stile di vita, dall’alimentazione, all’ambiente, dai ritmi del sonno, al modo di porsi con familiari e colleghi, in un crescendo di consapevolezza che l’ha portata a un risultato da cui difficilmente si torna indietro. Perché quando hai sperimentato la tua capacità di stare in equilibrio, e te la sei conquistata gradualmente con consapevolezza, sei come il contadino che ha visto cosa c’è oltre il suo orto e non può più limitarsi a pensare che il mondo finisca lì. La consapevolezza è e resta lo strumento più potente che un terapeuta di qualsiasi specie possa offrire ad un paziente.

Penso al fisioterapista che rimette in sesto un arto, quando abbina alle manovre la spiegazione di ciò che accade al corpo del paziente e ragiona in termini di connessione della parte trattata col resto del corpo è vincente, altrimenti sono interventi che lasciano il tempo che trovano. E lo stesso vale ogni volta che un medico in maniera frettolosa fa un intervento affidandosi al presidio terapeutico più gettonato, funziona certo, ma finito l’effetto, tutto svanisce e la dipendenza del paziente diventa la sua condanna.

Appellarsi alla parte migliore vuol dire compartecipare ai processi di diagnosi e terapia, la collaborazione del paziente è preziosa anche per sapere leggere le risposte del corpo. E’ necessario stimolare la capacità di vedere nel corpo, come il sentire, attraverso tecniche di Mindfulness che dovrebbero diventare appannaggio di ogni terapeuta. E stimolare, anche attraverso la Fiducia, la proiezione del paziente nel futuro prossimo e venturo, in uno stato dove sia in grado di esprimere il proprio potenziale trasformativo di salute. Io assisto spesso a questi “miracoli” e ringrazio perché so che questa è la strada verso cui consapevolmente noi medici prima o poi possiamo dirigerci. Lasciamo che anche la nostra parte migliore, libera da paure, possa guidarci in questo percorso.

 

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