della Dr.ssa Alice Angelomè, naturopata –
L’esposizione alle opere d’arte che io propongo è un’azione trasformativa, un vero e proprio atto terapeutico che si deve compiere volutamente, un atto non semplice e non scontato, che però può attivare grandi potenziali di guarigione. Come dice Alejandro Jodorowsky nel descrivere la teoria della psicomagia, il soggetto “deve fare qualcosa che non ha mai fatto” e anche “deve capire che più gli riuscirà difficile realizzare un atto, maggiori saranno i benefici che ne trarrà”. Lungi da me paragonare le mie nuove teorie ai grandi successi del Maestro cileno, parto però dal suo stesso presupposto che “per guarire ci vuole una volontà di ferro”, e dal concetto che è proprio rendendoci attivi nei confronti del nostro stesso conflitto che otterremo una percentuale di successo più alta nella sua risoluzione.
Titolo del quadro: “AA72” – ZDISLAW BEKSINSKI (1972)
E qui, in quest’opera, scendiamo in campo con i conflitti, con qualcosa di oscuro e difficile, come l’irrisolto. Qui si scende nella materia dell’inconscio, del celato, del nascosto. Veri e propri scheletri nell’armadio della propria interiorità, stavolta enormi, incombenti, ognuno congelato nel suo atteggiamento. Ce n’è uno che pare avere in mano un pendolo: rappresenta il passare del tempo, rappresenta i condizionamenti, rappresenta le facoltà medianiche? Ce n’è uno vigorosamente chiuso in sé stesso, con il petto gonfio e le braccia quasi conserte sotto alla sua pesante tunica, e subito accanto ne vediamo uno che, al contrario, ha quasi il petto concavo, le spalle alzate, quasi a doversi proteggere, con le mani giunte in preghiera, proprio davanti al centro del torace, sede del nostro Amore. Le dita però sono rivolte verso avanti, non una preghiera verso sé stesso quindi, ma verso qualcuno o qualcosa.
La figura con la torcia potrebbe essere chiunque di noi, in un profondo e meditativo momento di introspezione. Forse con la torcia illuminiamo ciò che siamo pronti ad affrontare, e con il calore della fiamma lo de-congeliamo fino a farlo interagire con noi.
Quante cose abbiamo messo dolorosamente via? Quanto è lungo e profondo il nostro personale armadio degli scheletri? Quali siamo pronti a riportare in vita e quali no? Quali demoni possiamo finalmente invitare a cena?
Qui l’Arte diventa strumento di indagine interiore, dando vita, forme e colori alla profondità umana, un qualcosa di inesplorato e non tangibile, difficilmente visualizzabile.per avv
E qui l’Arte diventa il tramite tra noi e l’irrisolto, la materia traumatica, quella lasciata lì, nell’oscurità, a sedimentare, come se non avesse valore, importanza, come se non influenzasse la nostra vita. Gli scheletri lasciati troppo tempo nell’armadio purtroppo tendono a crescere, fino a diventare insormontabili. Il quadro in questo caso spiega, senza parole, ma con una sola diretta immagine, semplice per quanto simbolica, la necessità di fare i conti con il passato e con tutto ciò che abbiamo messo da parte, in modo da poter vivere il presente con consapevolezza e pienezza, ed essere pronti ad accogliere un futuro luminoso.
Ci vuole coraggio, ma è necessario, e l’Arte è qui, per noi, pronta a ricordarcelo.
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