del Dr. Marco Cotugno  –

Imparare in natura significa fare esperienza attraverso attività svolte in situazioni di apprendimento olistiche e multisensoriali. Queste esperienze creano un sentimento di appartenenza e sottolineano il valore intrinseco dello stare all’aperto.

Il contatto diretto e prolungato con l’ambiente si può esprime in molti modi quali il sentire la terra sotto i propri piedi durante il cammino, nell’ascolto dei silenzi dell’orizzonte, nell’incontro più o meno ravvicinato con animali selvatici, etc.

Secondo la fondazione britannica National Trust sarebbero almeno cinquanta le attività all’aperto che un bambino dovrebbe sperimentare entro i 12 anni. Tra queste figurano correre sotto la pioggia, trovare la strada servendosi solo di mappa e bussola, arrampicarsi su un albero, fare una torta di fango, rotolare giù da una collina, campeggiare, accendere un fuoco senza fiammiferi, piantare e coltivare un vegetale allo scopo di mangiarselo.

Tali attività, che possono portare ad una maggiore consapevolezza ecologica, assumono anche un tratto avventuroso quando s’intersecano con le dimensioni della sfida a se stessi e del rischio. Imparare in e dalla natura è infatti anche imparare a conoscersi, nel proprio corpo e nelle proprie abilità, sviluppando la propria personalità, vitalità ed equilibrio mentale.

Ci sono molti modi in cui si può organizzare un’avventura all’aperto. Una sostanziale distinzione può essere fatta tra avventure “veloci” e “avventure lente”. Le prime il più delle volte rischiano di trasformarsi in un prodotto usa e getta, con pieno rispecchiamento nella forma mentis odierna, che produce e consuma oggetti, esperienze, vissuti ed emozioni con la stessa velocità ed ingordigia.

Questo archetipo è contrastato da un fenomeno emergente su scala globale che viene descritto come movimento “slow adventure”, i cui elementi essenziali stanno nel valorizzare il tempo come presenza in natura e come passaggio gioioso. Ciò perché il rapporto con gli elementi naturali può essere vissuto intimamente solo se si ha abbastanza tempo per entrarci in contatto, ad esempio vivendo l’esperienza dei cambiamenti climatici in natura durante un tragitto all’aperto, così come il recupero del senso della fame, piuttosto che il sentirsi stanchi o ancora lo sperimentare un risveglio al mattino in natura, l’aver il sole in faccia durante il cammino, il sentire la pioggia che cade sul corpo, il provare a montare una tenda durante una giornata di vento forte, etc.

Realizzare un’avventura lenta rappresenta una scelta di viaggio responsabile, dove gli elementi centrali sono l’uso di mezzi di trasporto ecologici, il desiderio di imparare qualcosa di più su altre culture e ambienti, il cercare di comprendere come gli usi locali di una determinata comunità si innestano all’interno dei ritmi naturali delle stagioni, la condivisione del proprio senso del luogo con quella di cui gli altri sono portatori.

Proprio per tutti questi motivi nella “slow adventurel’esperienza umana è un elemento centrale, poiché tale concetto si basa proprio sulla capacità di apprezzare il viaggio in una dimensione che enfatizza il processo piuttosto che la finalità. Esplorare borghi di campagna in biciletta, fare un trekking di uno o due giorni nel bosco o anche una passeggiata a cavallo su un’ippovia locale possono diventare esempi di slow adventure praticabili anche nel fine settimana, nonché preziose occasioni per i genitori di lasciare da parte cellulari e pc per immergersi nell’esplorazione dell’ambiente assieme ai propri figli, imparando assieme ad esempio ad accendere un piccolo fuoco da bivacco o a costruirsi un rifugio usando il materiale trovato sul posto.

Permettersi di rallentare per trascorrere davvero del tempo assieme vuol dire porre attenzione alla relazione e alla qualità dei propri vissuti e di quelli di coloro che ci stanno accanto nel quotidiano, e fa tornare alla mente la soluzione che Alexander Langer condensava nel motto “lentius, profundius, suavius”, indicando lo stile di vita per realizzare la conversione ecologica necessaria all’esistenza del pianeta Terra e degli esseri umani. La nostra esperienza del e nel mondo necessita di divenire “più lenta, più profonda, più gradevole” anche per portare a maturazione un apprendimento autentico.

Ipotizzando di progettare un’escursione in contesti naturalistici (bosco, fiume, montagna, oasi naturalistica lacustre, terme naturali, etc.) per un piccolo gruppo, si dovrebbe porre molta attenzione non solo a creare un percorso adatto alle caratteristiche dei partecipanti, ma anche a connotare gli elementi del mondo naturale che s’incontreranno nel cammino con tratti che servano a costruire la cornice di una storia comune, una piccola avventura che riguarda tutti, che si fa durante il percorso, assieme, lentamente, senza la fretta di arrivare a qualche meta ma per il gusto di star dentro all’esperienza, in maniera gioiosa, con piacere, conoscendo e trasmettendo i nomi degli elementi ambientali incontrati nel percorso, siano essi alberi, cespugli, piante spontanee, paesaggi e fenomeni naturali, narrandone le storie e i miti al gruppo affinché quelle entità terrestri tornino ad essere di nuovo vive, poiché nuovamente narrate, in quanto «saper almeno come un albero si chiami, intuire la simbologia delle presenze naturali che si affollano in un tratto anche breve di campagna è un ulteriore dovere civile cui la religiosità della terra ci chiama» (D. Demetrio, La religiosità della Terra, 2013, p.199). Dovere civile oggi più attuale che mai, in un’epoca storica che va sempre più verso la smaterializzazione della realtà e la virtualizzazione delle relazioni, privando l’umanità dell’esperienza del mondo.

 

Ti è piaciuto questo articolo e vuoi saperne di più?
Contatta il Dr. Marco Cotugno
Dottore in Filosofia, Educatore professionale socio-pedagogico,
Formatore in Filosofia Ambientale, Master di I livello in Outdoor Education
E-mail: marco.cotugno81@gmail.com
Telefono: 329 8069539