della Dr.ssa Olga Nastati –

 

Oggi abbiamo prove a sufficienza per affermare che il nostro stile di vita conta molto più della genetica nel determinare il nostro stato di salute complessivo. 

Malattie croniche come il diabete, il cancro, le cardiopatie, i disturbi respiratori possono avere origine da predisposizioni genetiche, ma non solo. A contare sono anche i “fattori ambientali”, cioè le sostanze a cui volontariamente o no ci esponiamo e le scelte di vita che facciamo. 

Per gli scienziati esistono diverse molecole nel nostro organismo in grado di dirci se siamo predisposti a una determinata malattia o no. Vengono chiamate biomarcatori e svolgono il ruolo fondamentale di “sentinelle” della nostra salute. La loro presenza o assenza, la loro concentrazione e le loro caratteristiche biologiche possono dirci moltissime cose riguardo alla probabilità di sviluppare condizioni patologiche. 

Fra i tanti biomarcatori noti alla scienza, un gruppo in particolare si è rivelato utilissimo in anni recenti nel darci informazioni riguardo alla nostra salute e alle nostre aspettative di vita: sono i telomeri

I telomeri sono strutture di DNA poste alle estremità dei cromosomi con la funzione di proteggere questi ultimi da eventuali danni e mantenere integro il materiale genetico di una cellula. 

Tutti noi nasciamo con una certa lunghezza dei telomeri, che nel corso della vita andrà progressivamente riducendosi. È un processo irreversibile: il materiale telomerico perso non può essere recuperato, né si può ripristinare la lunghezza originaria dei telomeri. Man mano che si accorciano, i telomeri faticano a svolgere la loro funzione protettiva. Una volta raggiunta una lunghezza critica, la cellula smette di replicarsi e va incontro a un processo di morte programmata. 

Per questo motivo, la scienza considera la lunghezza dei telomeri un vero e proprio orologio biologico che determina la durata della vita di una cellula e, per estensione, dell’organismo a cui appartiene: telomeri più lunghi sono associati a individui longevi, mentre telomeri di lunghezza ridotta sono associati a una minore aspettativa di vita

Per questo possiamo definirli “biomarcatori dell’invecchiamento”.

Grazie allo studio dei telomeri, dunque, lo stato di salute di un individuo, il suo livello di invecchiamento cellulare e la probabilità che sviluppi delle malattie sono diventati scientificamente misurabili. 

Nel 2009 Elizabeth Blackburn, Carol Greider e Jack Szostak sono stati insigniti del Premio Nobel per la Medicina per le scoperte sul funzionamento dei telomeri e dell’enzima telomerasi.

 

Molto interessante in questa direzione, lo studio dei centenari, in particolare nelle cosiddette Zone Blu, ossia quelle aree del mondo che presentano una singolare concentrazione di persone che vivono oltre i cento anni d’età in perfetta salute.

Le Zone Blu sono cinque: Sardegna (Italia), Ikaria (Grecia), Okinawa (Giappone), Nicoya (Costa Rica) e la comunità religiosa degli Avventisti del Settimo Giorno di Loma Linda (California, USA). 

Si tratta di realtà particolari, caratterizzate da un certo isolamento e da condizioni di vita peculiari. Gli scienziati che se ne sono occupati hanno studiato il profilo genetico di queste persone, verificato le loro abitudini quotidiane e la loro alimentazione.

Un elemento comune delle popolazioni delle Zone Blu è una dieta ricca di antiossidanti e sostanze che riducono l’infiammazione, due gruppi di nutrienti presenti in abbondanza nei cibi vegetali

Nemici numero uno dei telomeri sono infatti: lo stress ossidativo e gli stati infiammatori. Queste due condizioni biochimiche causano un’accelerazione del logoramento telomerico, quindi un precoce invecchiamento delle cellule e un aumentato rischio di sviluppare malattie croniche

Tutto ciò che è in grado di combattere lo stress ossidativo serve dunque a proteggere i telomeri. 

 

Non possiamo eliminare le cause dello stress, perché spesso non dipendono dalla nostra volontà, ma possiamo modificare il modo in cui rispondiamo a esso, attuando strategie protettive:

– fare sport, passeggiare nella natura;
– qualunque buona abitudine che ci aiuti a rilassarci e a disinnescare i meccanismi dello stress;
– stili di vita sani basati su alimentazione corretta;
– qualità del sonno ottimale;
– astensione dal fumo;
– meditazione;
– buon umore, ottimismo, altruismo:
– gentilezza, perdono, gratitudine;

 

Gli scienziati hanno iniziato a indagare sull’impatto che altri comportamenti e disposizioni mentali possono avere sulla nostra genetica. La meditazione, in primo luogo, ma anche atteggiamenti positivi come la gentilezza, l’ottimismo, l’altruismo, l’empatia, le buone relazioni sociali e familiari.

Le categorie di nutrienti più importanti per proteggere i telomeri sono gli antiossidanti e le molecole con proprietà anti-infiammatorie. Queste sono presenti in abbondanza nei cibi di origine vegetale: frutta, verdura, cereali, legumi, frutta secca e semi. 

È emerso che un maggiore consumo totale di caffè, è associato in modo molto significativo a telomeri più lunghi. 

Anche la vitamina D nota per i suoi meccanismi anti-infiammatori e antiproliferativi, si è dimostrata protettiva nei confronti dei telomeri.

Uno studio di Elizabeth Blackburn del 2010, ha rilevato come l’attività fisica sia in grado di indurre un abbassamento dei livelli di stress, favorendo in tal modo una condizione protettiva nei confronti dei telomeri.
Un’attività fisica moderata è associata a telomeri più lunghi indipendentemente dall’indice di massa corporea.

La differenza nella lunghezza dei telomeri corrisponde in media a 4,4 anni di invecchiamento.

Uno studio condotto alla Harvard Medical School è stato dedicato ai meccanismi di longevità di una particolare tipologia di meditazione, la Loving-Kindness Meditation (LKM), una pratica derivata dalla tradizione buddhista che si fonda sul concetto di gentilezza disinteressata e su un atteggiamento accogliente nei confronti degli altri. Il campione era costituito da persone esperte in questa pratica, che si dedicavano a sessioni quotidiane da almeno quattro anni e a vari ritiri della durata di almeno tre giorni.
E’ stato osservato che i loro telomeri risultavano più lunghi di quelli di un gruppo di controllo che non aveva mai fatto meditazione, segno di un’azione protettiva che contribuisce al mantenimento della stabilità del DNA.

 

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Bibliografia:
“Biologia della gentilezza” di Immaculata de Vivo e Daniel Lumera.