del Dr. Marco Cotugno  –

Era il 1864 quando lo scrittore, filosofo e naturalista H. D. Thoreau annotava tra i suoi appunti di viaggio come fosse strano che così poche persone frequentassero i boschi del Maine per deliziarsi nel vedere come vivono e crescono gli alberi, adattandosi perfettamente all’ambiente che trovano, mentre fin troppe altre continuavano a vedere nelle aree verdi solo un determinato quantitativo in quintali di tavole di legno da usare e da commerciare. Eppure:

«il pino non è più legname di quanto lo sia l’uomo, e l’essere trasformato in assi e case non è il suo vero e più alto scopo di quanto lo sia per un uomo l’essere tagliato e trasformato in letame»[1]

Nel rendersi veramente conto di ciò, cioè che un albero tagliato non può essere propriamente considerato più un albero, allo stesso modo in cui un cadavere non è più un uomo, consisteva per Thoreau il primo passo da compiere al fine di mantenere la connessione con una legge superiore che riguarda il nostro rapporto con gli alberi, così come – a ben vedere – quello con gli altri uomini. E chi squadra gli esseri viventi solo per ricavarne ciò che c’è di utile o prezioso, in realtà soffre di un difetto d’inadeguatezza della propria capacità immaginativa, che non gli permette di vedere in essi la vita, perché se la vedesse veramente si accorgerebbe che:

«ogni creatura è meglio viva che morta, uomini, alci e pini, e chi lo comprende bene preferirà preservarne la vita piuttosto che distruggerla»[2]

Sarà proprio a partire da considerazioni simili a quelle espresse da Thoreau che, a partire dagli anni ’70 dello scorso secolo, sarà formulato il biocentrismo (dal greco βιος, “vita”; e κέντρον, “centro”), una concezione filosofica secondo la quale l’uomo è solo uno degli innumerevoli elementi dell’universo, e per ciò – in quanto non unico né in un posto privilegiato tra i viventi – è tenuto a rispettare ogni altra forma di vita e a vivere in armonia con animali e vegetali, nella consapevolezza del valore primordiale e intrinseco della vita stessa, che concede a tutti lo stesso diritto a esistere, a svilupparsi e a esprimersi con autonomia. Proprio basandosi su questa consapevolezza, l’attività umana dovrà cercare di causare il minore impatto possibile sopra le altre specie e sopra il pianeta in sé, in quanto quello che percepiamo come realtà è un processo che si basa sull’interazione, la co-evoluzione e la complessità delle relazioni tra le specie e che esige la partecipazione attiva della nostra coscienza.

Nella storia dell’etica ambientale, il tema teoretico della considerazione morale dei soggetti non umani si andrà ad intrecciare ben presto sul piano fattuale con quello dei diritti della natura. Le premesse di questo rapporto furono tracciate da Christopher Stone in Should trees have standing?[3] articolo in cui il giurista statunitense proponeva l’attribuzione di diritti legali alle foreste, agli oceani, ai fiumi e ad altri oggetti naturali se non persino all’ambiente nella sua totalità.

La riflessione di Stone prese l’avvio dalla causa legale tra la Walt Disney Enterprises e l’associazione ambientalista Sierra Club – una delle maggiori associazioni ambientalistiche in USA – allo scopo di tutelare la Mineral King Valley in California. Sul finire degli anni ’60 il servizio forestale degli Stati Uniti, infatti, aveva ceduto questi territori alla Walt Disney Enterprises, che era intenzionata a costruire un imponente centro sciistico. Il Sierra Club era risolutamente determinato a impedirglielo nonostante da un punto di vista legale l’organizzazione non avesse ragioni per ricorrere in giudizio, in quanto non poteva considerarsi parte lesa: nella terminologia giuridica americana il Sierra Club non aveva standing.

Nel suo scritto Stone, partendo proprio dal fatto che per ricorrere in giudizio è necessaria e sufficiente la presenza di una parte lesa, pur mantenendosi esclusivamente sul piano del diritto, sviluppò l’idea che anche per gli oggetti naturali sia, in generale, ipotizzabile uno status legale e che quindi si possano considerare gli oggetti di natura come persone giuridiche, alla stregua di istituzioni, società e corporazioni. Per Stone dunque i beni naturali, pur non essendo essi stessi in grado di rivendicare i diritti di cui sono titolari, diventano tutelabili dalla legge allo stesso modo dei minori o delle persone prive di «capacità di agire», in quanto posseggono comunque una «capacità giuridica».

Più avanti alcuni filosofi ambientali (tra cui il più noto sarà Tom Regan) allargheranno il discorso trasponendolo dal piano del diritto a quello morale, discutendo di valore intrinseco e di capacità di “avere interessi” come requisito primario per parlare di diritti anche per gli enti naturali, ma intanto, già nei primi anni ‘70, connotati da un forte attivismo ambientalista e dal fermentare di nuove idee filosofico-ecologiche, il saggio di Stone convinse molte persone, tra gli altri anche uno dei giudici del suddetto processo. Il giudice associato William O. Douglas difatti argomentò il suo dissenso dagli altri membri della corte, sostenendo che gli “oggetti inanimati” avrebbero dovuto essere citati in giudizio in tribunale in quanto:

«la questione verrebbe semplificata e anche messa a fuoco in modo ordinato se modellassimo una norma federale che consentisse di discutere questioni ambientali dinanzi ad agenzie federali o tribunali federali in nome dell’oggetto inanimato che sta per essere depredato, deturpato o invaso da strade e bulldozer e dove il danno è oggetto di indignazione pubblica. La preoccupazione del pubblico contemporaneo per la protezione dell’equilibrio ecologico della natura dovrebbe portare al conferimento di una legittimazione agli oggetti ambientali a citare in giudizio per la propria conservazione. Questa causa sarebbe quindi più propriamente etichettata come Mineral King vs. Morton»[4]

Così, pur se il 19 aprile 1972 il tribunale federale decise a maggioranza di respingere il ricorso del Sierra Club, la causa si concluse senza vincitori né vinti, perché la Walt Disney Enterprises dovette successivamente ritirare il progetto, a causa dei ritardi e della pessima fama che su di essa oramai gravava. Nello stesso tempo un passo importante per i diritti dell’ambiente era stato fatto, in quanto per la prima volta in maniera effettiva, in un processo, a un oggetto naturale – una valle – era stato attribuito da un giudice lo status di parte lesa.

 

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Dottore in filosofia e educatore professionale
Esperto in outdoor education
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[1] Cfr. H. D. Thoreau, The Maine Woods, Blackmask Online, 2002, p. 43

[2] Ibidem

[3] Cfr. C. D. Stone, Should Trees Have Standing? Law, Morality, and the Environment, Oxford, Oxford University Press, 2010.

[4] Cfr. Sierra Club v. Morton, 405 U.S. 727, 741–43 (USSC 1972).